L’obesità è caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.

Si tratta di una patologia cronica, legata a molteplici cause e per questo definita multifattoriale, accompagnata da aumentato rischio di morbilità e mortalità. Tuttavia per molti anni la persona obesa può vantarsi di “godere di ottima salute”, studia, lavora, pratica attività ludiche e spesso si veste con cura ed è sinceramente convinta del proprio fascino al pari di chi fuma o beve alcolici in eccesso, convinta che i cambiamenti del corpo siano solo un problema esteriore. <<Se voglio smetto di fumare anche domani>>, oppure <<Se voglio posso smettere di ubriacarmi>> e infine, <<sapessi di quanti chili sono riuscito a dimagrire nella mia vita, se voglio da domani mi metto a dieta…>>.
Fino a quando la classe medica in primo luogo e poi quella degli opinionisti e dei politici continua a credere che non si tratti di altro che di un “problema funzionale, che limita la qualità della vita solo se si oltrepassano certi limiti” e il servizio sanitario nazionale o le assicurazioni sanitarie non riconoscono le patologie del comportamento come “malattie vere”, i proclami dell’OMS rimarranno delle semplici grida manzoniane come quelle sull’inquinamento o sullo smaltimento dei rifiuti.
Nel suo “Rapporto del 2002 sulla salute in Europa “, l’Ufficio regionale europeo dell’OMS definisce l’obesità come: “epidemia estesa a tutta la regione europea, circa la metà della popolazione adulta è sovrappeso e il 20-30 per cento degli individui, in molti paesi, è definibile come clinicamente obeso”. La Conferenza Europea sull’obesità di Copenhagen tenutasi l’11 e il 12 settembre del 2002, ha evidenziato che circa il 4 per cento di tutti i bambini europei è affetto da obesità.
Per quanto riguarda in particolare l’obesità addominale  intesa come giro vita superiore a 102 cm nell’uomo e a 88 cm nella donna – secondo un’indagine pubblicata su Obesity Research, la percentuale totale di individui dal “giro vita” troppo grande, nei pesi dell’area occidentale, è pari al 46% con una netta prevalenza per le donne che arriva al 55,1% della popolazione femminile mentre si ferma al 36,9% per cento dei maschi. Analizzando comparativamente i diversi studi epidemiologici europei, la Spagna è al secondo posto con il 34,7 per cento di prevalenza di obesità addominale in entrambi i sessi, seguita dall’Italia, dal Regno Unito (27,5 per cento), dalla Francia (26,3 per cento), dalla Germania (20,3 per cento) e dall’Olanda (18,2 per cento).
Nonostante tutti i milioni spesi per l’analisi epidemiologica dell’obesità nei paesi industrializzati, quattro anni dopo la Conferenza ministeriale europea dell’OMS sull’azione di contrasto all’obesità, tenutasi a Istanbul il 15-18 novembre 2006 riprende le solite frasi allarmistiche e inascoltate. A conclusione dei lavori congressuali l’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS pubblica che …”L’obesità rappresenta per l’Europa una sfida sanitaria pubblica senza precedenti, finora sottostimata, scarsamente valutata e non perfettamente accettata come problema governativo strategico associato a notevoli implicazioni economiche. L’epidemia che sta emergendo nei bambini accentuerà notevolmente il carico dovuto a problemi di salute, a meno che non siano adottati provvedimenti urgenti, con approcci originali, basati su una chiara comprensione dei determinanti economici dell’epidemia e sul rifiuto dei presupposti tradizionali circa le sue cause”.
Con tutto ciò, le assicurazioni non hanno esteso la copertura sanitaria alla cura dietologica del sovrappeso e dell’obesità, né è cambiato qualcosa circa le difficoltà di accedere al servizio sanitario nazionale per gli esami dietologici che implicano spesso la monitorizzazione del metabolismo mediante l’esame della Triiodotironina totale e delle catecolamine.
Allo stato attuale il Dietologo è ancora uno specialista di serie B al quale ci si deve rivolgere perché afflitti da una patologia di serie A..come il Diabete o l’Artrosi degli arti inferiori o, con molte riserve, per la cura dell’Ipertensione Arteriosa.

OBESITA’ GENETICA

Grassi si nasce o si diventa? L'”obesità”, che affligge meta’ della popolazione adulta nei Paesi industrializzati, è un problema che nasce dall’incrocio di fattori genetici, ambientali e comportamentali. Ma che cosa conta di più? Quando tre anni fa Jeffrey Friedman, dalle Rockefeller University a New York, scoprì nei topi il gene dell’obesità, di cui esiste un equivalente nell’uomo, si pensò di avere l’asso nella manica.
Il gene, chiamato “ob”, regola le funzioni di una proteina, la leptina, che e’ prodotta dalle cellule di grasso, circola nel sangue e dice al cervello quanto ne è immagazzinato nel corpo. I topi che non ne producevano abbastanza erano obesi: sarebbe bastato modificare i livelli di leptina per curare l’obesità? Gli esperimenti dimostrarono che non era così semplice.
Come per molte altre condizioni patologiche, l’obesità è il risultato di un’interazione tra fattori genetici e ambientali.
Studi condotti su gemelli identici adottati alla nascita da famiglie diverse per cultura e status sociale hanno dimostrato che da adulti presentavano con assoluta prevalenza un rapporto peso e altezza simile alla famiglia biologica e non alla famiglia di adozione.

(Stunkard, A. J., Sorensen, T. I. A., Hannis, C., Teasdale, T. W., Chakraborty, R., Schull, W. J. & Schulsinger, F. (1986b). An adoption study of human obesity. New England Journal of Medicine 314, 193-198).

Le caratteristiche genetiche predisponenti l’obesità, perché si manifestino, è necessario che siano associate ad un ambiente favorevole, la percentuale di obesità che può essere attribuita a fattori genetici varia, a seconda della popolazione esaminata, dal 6% al 85%, un divario troppo grande perché la genetica possa essere considerata la causa principale.

(Yang W, Kelly T, He J (2007). Genetic epidemiology of obesity. Epidemiol Rev 29: 49–61).

A partire dal 2006 sono sati trovati oltre 41 geni che controllano l’appetito e il metabolismo con polimorfismi predisponenti all’obesità, ma dal momento che non siamo ingabbiati come i topi di laboratorio di Friedman l’aumento di peso si verifica solo quando l’apporto alimentare è eccessivo e l’ambiente è favorevole.

(Poirier P, Giles TD, Bray GA, et al. 2006. Obesity and cardiovascular disease: pathophysiology, evaluation, and effect of weight loss. Arterioscler. Thromb. Vasc. Biol. 26 (5): 968–76)

La diffusione dell’obesità anche nei paesi emergenti dimostrerebbe che le mutazioni genetiche favorenti l’aumento di peso potrebbe ricondursi alla storia evolutiva della nostra specie.
La capacità di approfittare dei rari periodi di abbondanza di cibo da immagazzinare sotto forma di grasso, sarebbe vantaggiosa durante i periodi di carestia e le persone con riserve adipose maggiori avrebbero maggiori probabilità di sopravvivenza. Questa tendenza a conservare il grasso, però, sarebbe negativa in una società con grandi disponibilità e varietà di cibi. Questo spiega perché gli indiani Pima, che si sono evoluti in un ecosistema desertico, hanno sviluppato alcuni dei più alti tassi di obesità, quando esposti ad uno stile di vita occidentale.

(Wells JC (febbraio 2009). Ethnic variability in adiposity and cardiovascular risk: the variable disease selection hypothesis. Int J Epidemiol 38 (1): 63–71

Anche l’obesità che un tempo si riteneva tipica di certe malattie genetiche come la sindrome di Prader-Willi o la sindrome di Bardet-Biedl ora è considerata una semplice complicanza. Se adeguatamente curati e guidati questi pazienti presentano un BMI pressoché normale.
Il rinnovato orgoglio della propria identità tra la popolazione degli indiani Pima ha fermato il diffondersi dell’obesità che intorno ai primi anni 90 era otto volte superiore alla media nazionale e mentre prima era normale trovare adulti diabetici già a 35 anni che pesavano oltre 230 chili, ora è molto meno frequente.
E’ possibile che una adeguata strategia terapeutica riesca a ridimensionare il diffondersi dell’ eccessivo aumento di peso.
E’ su questa base che nasce la terapia nutrizionale, comportamentale e farmacologica, dell’obesità con lo scopo di cambiare la prospettiva con la quale il paziente è abituato a vedere l’atto del nutrirsi.

 

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